Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 07 dicembre 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Cognizione dei numeri: indagando il Modello del Codice Triplo è emerso il ruolo del putamen. Ci siamo occupati spesso delle basi cerebrali della cognizione numerica, nella massima parte dei casi presentando studi basati su neuroimaging dell’encefalo di volontari sottoposti a prove implicanti elaborazione cognitiva di quantità e valori numerici. In questo caso ci occupiamo della ricerca di correlati elettrofisiologici intracranici dell’elaborazione numerica: Alexander P. Rockhill e colleghi hanno indagato 13 soggetti sottoposti a elettroencefalografia stereotassica intracranica (EEG STI) per epilessia. Basandosi sui postulati del Modello del Codice Triplo, i ricercatori hanno presentato ai volontari stimoli numerici, facendo variare il tipo di rappresentazione (simbolica o non-simbolica) e la modalità percettiva dello stimolo (visiva o uditiva). Gli spettrogrammi di frequenza temporale sono stati ridotti dimensionalmente mediante principal component analysis e introdotti in un algoritmo di classificazione (linear support machine classification) per identificare, in base all’attività elettrica, le regioni associate alla percezione dei numeri, dal confronto con l’attività nelle fasi di riposo tra un test e l’altro.

La più alta precisione di classificazione per entrambi i formati di rappresentazione è stata rilevata nei due lobi parietali bilateralmente; la corteccia temporale superiore è attiva per i numeri uditi, sia come parola detta sia come sequenze di suoni (beep), mentre la corteccia frontoparietale si attiva per i numeri visti; la corteccia parietale di sinistra ha la massima resa nella classificazione numerica dei punti. Fin qui, i dati ottenuti si discostano poco da quelli desunti dal neuroimaging funzionale, ma l’elemento di estremo rilievo è costituito dall’evidenza di un ruolo di una parte del nucleo lenticolare: il putamen, nucleo dei circuiti riverberanti cortico-basali, è considerato da sempre un’importante stazione di elaborazione motoria e, sebbene partecipi a reti che gestiscono comportamenti complessi e strumentalità cognitive, non si immaginava potesse supportare l’elaborazione astratta della numerosità.

La risposta del putamen a stimoli numerici ha rivelato una straordinaria precisione classificatoria.

L’analisi di mappe di elementi spettrali ha evidenziato che una frequenza “non gamma”, al di sotto dei 30 Hz, aveva già un valore di classificazione superiore al caso e poteva essere usata per caratterizzare il formato specifico di rappresentazione del numero percepito. Oltre a fornire sostegno al Modello del Codice Triplo, questo studio pone al centro dell’attenzione neuroscientifica il putamen.

La partecipazione del putamen indica un’origine evoluzionistica lontana della stima di numerosità quale base della cognizione numerica e, con ogni probabilità, indica un nodo chiave per quella sia pur limitata abilità di comprendere le quantità e compiere piccole operazioni, che accomuna i bambini in età prescolare a varie specie animali: capacità attribuita da Stanislas Dehaene a un processo ad “accumulatore centrale”. [Cfr. PLoS One 19 (12): e0313155, 2024].

 

Elevati tassi di glucosio ematico danneggiano il cervello anche nei non affetti da diabete. Jean Chen e colleghi hanno accertato che 1) alti tassi di glucosio ematico riducono la connettività in reti cerebrali fondamentali per i processi cognitivi; 2) i livelli glicemici elevati nelle donne e negli adulti più anziani producono i danni maggiori; 3) una bassa variabilità di frequenza cardiaca, che penalizza la salute cerebrale, è conseguenza dell’alto tasso di glucosio ematico. [Fonti: Neurobiology of Aging and Baycrest, Dec. 3, 2024].

 

Demenza Fronto-Temporale (FTD): la perdita di empatia è dovuta al danno delle reti. La Degenerazione Fronto-Temporale con Demenza, associata in alcune forme familiari alla SLA, è sottodiagnosticata in Italia, perché non giunge all’osservazione specialistica a causa della sottocultura popolare che accetta le ridotte prestazioni cognitive come un “rintontonirsi dei vecchi”, tutt’altro che fisiologico. In Svezia la FTD è diagnosticata nel 3% dei casi di demenza degenerativa. Olof Lindberg e colleghi hanno rilevato: 1) nessuna attivazione delle reti cerebrali mediatrici dell’empatia nei pazienti affetti da FTD; 2) l’attività cerebrale registrata era fortemente correlata a quanto riferito dai prestatori di cure circa la perdita della capacità empatica; 3) i deficit di empatia sono all’origine di molti problemi di relazione e nelle importanti decisioni circa le strategie di trattamento da adottare. [Fonti: JAMA Network Open and Karolinska Institute, Dec. 3, 2024].

 

Scoperta la chiave dell’affermazione dei Clovis in tutta l’America Settentrionale 13.000 anni fa. Ha preso la copertina del 4 dicembre di Science Advances la scoperta ottenuta partendo dall’analisi isotopica per stabilire la dieta di una madre e del suo bambino trovati in un sito archeologico di 13.000 anni fa nel Montana: il popolo dei Clovis, nativi americani stanziati in tutta la parte settentrionale del continente, aveva come alimento principale la carne di mammut (Mammuthus, dal russo MaMOHT) da cui traeva tutta l’energia per il proprio sostentamento. I Clovis avevano creato delle grandi lance con affissa una “punta-proiettile”, che consentiva loro di colpire tenendosi a distanza dagli enormi bestioni lanosi. È questa la ragione della misteriosa espansione di questo popolo, che si era moltiplicato e diffuso in modo esorbitante rispetto agli altri. I Clovis non dovevano più trascorrere giornate intere a cercare frutta e verdura commestibile o a cacciare piccoli animali sfuggenti. [Cfr. Science Advances – AOP doi: 10.1126/sciadv.adr3814, December 4, 2024].

 

L'amicizia tra il cane e l’uomo è cominciata nel 12000 a.C., 2000 anni prima di quanto si credeva. Ritrovamenti paleontologici in un sito archeologico dell’Alaska hanno consentito a François Lanoe, della School of Anthropology del College of Social and Behavioral Science dell’Università dell’Arizona, di retrodatare la domesticazione del cane di circa 2000 anni, all’epoca in cui in Europa nascevano l’agricoltura e l’allevamento. I segni di mutualità di rapporto, dopo la tibia di cane trovata in quel sito di dimora umana nel 2018, sono ora inequivocabili. [Cfr. Science Advances – AOP doi: 10.1126/sciadv.ads1335, December 4, 2024].

 

Gli elefanti africani maschi sviluppano tratti distintivi di “personalità” invecchiando. Prendendo le mosse da un loro precedente studio effettuato presso l’Etosha National Park in Namibia tra il 2007 e il 2011, Caitlin O’Connel-Rodwell e colleghi della Stanford University e dell’Harvard University Center for the Environment hanno condotto un’osservazione protratta finora su 34 maschi di elefante africano della savana (Loxodonta africana) dimostrando per la prima volta che in questi pachidermi si può riconoscere uno stile di atteggiamento e comportamento secondo un paradigma di tratti, che rimane coerente nel tempo. Tale caratteristica, definita dagli autori “personalità”, si definisce e si consolida col passare degli anni.

Il paradigma di osservazione ha riconosciuto 5 tratti di carattere definiti: 1) affiliativo, 2) aggressivo, 3) dominante, 4) ansioso, 5) calmo. Tali tratti sono coerentemente conservati nel corso del tempo e delle circostanze di esperienza, ma soprattutto ogni elefante si caratterizza per il modo in cui interpreta ciascuno dei tratti.

Allo stato naturale le femmine trascorrono il tempo interamente nel gruppo familiare, mentre i maschi si allontanano e formano gruppi solo maschili strutturati secondo gerarchie di dominanza. Questo comportamento contribuisce allo sviluppo della caratterizzazione individuale. Lo studio dimostra che gli elefanti con l’adattamento sociale più riuscito sono quelli che hanno trovato il giusto equilibrio tra gli atteggiamenti amichevole e aggressivo, e vivono nei gruppi con le età più varie. Nel riconoscere la definizione dello stile individuale, gli autori hanno fatto la tara dell’influenza delle circostanze: in presenza di giovani, i maschi adulti più spesso mostrano atteggiamenti amichevoli o dominanti; gli stessi elefanti, quando si unisce a loro un maschio influente, esprimono più di rado amichevolezza o dominanza fra loro.

La definizione del profilo unico di ciascuno è risultata indubitabilmente dovuta al rinforzo di memorie comportamentali nel tempo. [Cfr. PLoS One 19 (12): e0311780, 2024].

 

Mente dei Greci e mente dei barbari: le ragioni di una distanza incolmabile. Come è noto, i Romani avevano preso dai Greci religione, filosofia, scienza, arte, storia geografica e visione del mondo, e si comprende bene perché i massimi storici della civiltà, tra cui Philippe Aries e Georges Duby, affermano che i Greci sono a Roma e in tutto l’Impero Romano; dai Greci, i Romani avevano preso anche la definizione di “barbari” (oi barbaroi) dei popoli incivili, distruttori e sanguinari che vivevano oltre i confini.

Elencare tutte le ragioni richiederebbe una rassegna storica di tutti gli studi svolti in questo campo, allora noi scegliamo di focalizzare l’attenzione su un nodo problematico che lega aspetti morali e cognitivi in quelle che si possono chiamare conseguenze della mentalità[1]. Un nodo che risulta evidente quando la società romana culturalmente ellenizzata e poi cristianizzata dell’Alto Medioevo assiste al tentativo di integrazione di barbari sconfitti. Lasciando da parte che i barbari vittoriosi riusciranno poi ad affermare molti dei loro costumi, primo fra tutti la militarizzazione della società medievale nonostante le resistenze della cultura cristiana, consideriamo quel tempo e quella parte in cui, nel tentativo di assimilazione, si rende manifesto un confronto.

Un elemento cruciale è rappresentato dal modo di intendere l’alfabetizzazione: per i barbari, sempre in massima parte analfabeti, lo studio della lingua fino alla capacità di leggere e scrivere un testo era un’esigenza di una ristretta élite di uomini per necessità legate alla guerra. Al contrario si colloca, invece, la tradizione culturale greca, che andiamo a esaminare un po’ più in dettaglio.

Giorgio Raimondo Cardona nella sua Storia Universale della Scrittura spiega in base a quali reperti e documenti si ritiene che in Grecia fin dalle epoche più remote l’abilità di leggere e scrivere non fosse patrimonio esclusivo di scribi e letterati: “… c’erano naturalmente in Grecia, come ovunque, specialisti della scrittura, che avranno eseguito per esempio le dediche nelle offerte nei santuari o le iscrizioni ufficiali delle leggi cittadine, ma troviamo fin dalla fine dell’VIII secolo a. C. documenti diversi per provenienza e materiale che parlano decisamente in favore della presenza di scriventi di diversa appartenenza sociale; così le iscrizioni dei mercenari greci di Ionia al servizio del faraone Psammetico II, trovate ad Abu Simbel in Egitto e datate al 592 a.C. o i molti ostraka datati tra la metà del VI e la metà del V secolo negli scavi dell’Agorà di Atene, che per il loro contenuto semplice e quotidiano escludono la presenza di uno specialista”[2].

Seguendo ancora Cardona, leggiamo che l’esistenza di un’alfabetizzazione diffusa, e in città come Atene pressoché generale, è testimoniata da costumi di cui si hanno abbondanti prove: dalle iscrizioni funerarie che si rivolgono al viandante, presupponendo che tutti i passanti sappiano leggere, agli innumerevoli ostraka per il voto pubblico, scritti evidentemente da decine di mani diverse, come testimoniano i differenti stili di scrittura. Un aspetto fondamentale è che le donne, costituenti sempre circa metà della popolazione e avendo un ruolo primario nell’educazione, erano sempre alfabetizzate. La madre, quale prima insegnante di lettura e scrittura dei propri figli, crea una tradizione, parte di una nostra radice antropologica che, mediante il veicolo della cultura latina, attraversa due millenni, giungendo fino ai nostri giorni con la netta prevalenza delle donne fra gli insegnanti di scuola primaria.

Al contrario, le donne barbare sono analfabete: mille anni dopo le prime tracce di alfabetizzazione diffusa in Grecia, tra i barbari le donne sono ancora escluse dall’apprendimento della scrittura e tenute in uno stato di inferiorità servile, da cui potevano uscire solo facendo ricorso alla violenza. Basterebbe solo questa differenza nella condizione della donna a spiegare la distanza incolmabile tra le due mentalità. Ma la forma mentis[3] era sicuramente influenzata da costumi e modi di vita.

La vita civile in Grecia consisteva in una socialità culturale articolata in molteplici modi e forme, che andavano dalle scuole filosofiche di arte del vivere e di retorica alla partecipazione alla polis ethica, dal teatro filosofico ai banchetti culturali (simposi), da gare e giochi pubblici alle feste di piazza, dagli incontri di poesia, sempre accompagnata da musica, alle dispute davanti a un pubblico fra scuole di pensiero o fra opinioni diverse in materie che andavano da temi esistenziali all’arredo urbano o al modo in cui era opportuno abbigliarsi nelle varie circostanze di incontro.

I barbari si riunivano in gruppi quasi esclusivamente per la caccia e per combattere, e generalmente solo fra uomini.

In una prospettiva di fisiologia psichica la mentalità può essere declinata in termini di vincoli di contenuto e limiti nelle astrazioni concettuali, ad esempio nel concepire ruoli sociali e valore delle persone.

Nella vita civile greca, attraverso il comportamento di pubblico rispetto, si insegnavano e si apprendevano valori condivisi: al passaggio di sacerdotesse vergini di Artemide, di Estia o di Atena, ci si fermava, si cedeva il passo e si faceva col capo cenno di saluto, forse con un inchino, più di quanto si facesse per i sacerdoti di Apollo, anch’essi votati alla castità. Il rispetto, insieme con la misura, costituisce cifra, contenuto e stile mentale della cultura classica: rispetto per la donna, rispetto per l’anziano, rispetto per i bambini, quali casi speciali del rispetto della persona e della sua vita, che fa tutt’uno col rispetto dell’arte, della conoscenza e della natura (phusis). La mentalità barbara è connotata proprio dalla mancanza di misura e rispetto. [BM&L-Italia, dicembre 2024].

 

“Capire”, “cercare il senso” e “creare senso” hanno una comune origine in una tendenza funzionale della mente. Il nostro cervello tende spontaneamente a cercare il senso delle cose e, anche se la maggior parte di noi è in genere abituata ad accontentarsi del senso convenzionale e operativo che consente di essere efficacemente attivi nella routine quotidiana, quando si verificano eventi terrifici, distruttivi, mortali o semplici fatti che ci appaiono come rivelatori, ciascuno di noi si pone domande sul senso della vita.

Nella realtà individuale della mente di ciascuno questo equivale a porsi interrogativi sul senso di tutto l’esistente: la più antica domanda dei filosofi. Le neuroscienze hanno dimostrato che esiste una tendenza di fondo del complesso delle reti neuroniche cerebrali che esprimono quella funzione che chiamiamo “mente” a trovare senso o a crearlo, come nel proverbiale invenio-invento che caratterizza l’atteggiamento produttivo che si rileva nell’arte e in altre attività umane che impiegano risorse intellettive ad alto grado di astrazione.

La tendenza è stata chiaramente rivelata dagli esperimenti ormai storici eseguiti su pazienti con cervello diviso dal gruppo di Roger Sperry e Michael Gazzaniga: quando alla coscienza arrivavano stimoli privi di contenuto cognitivo (logico-semantico), ma solo confuse impressioni affettivo-emotive, una funzione di “interprete cerebrale” tendeva a costruire su una spiegazione, per dare un senso al proprio stato d’animo e alle proprie reazioni, di cui i volontari non conoscevano l’origine.

È pressappoco ciò che accade nel sintomo della confabulazione (dal latino cum + fabula) per danno corticale diffuso che precede i deficit mnemonici più marcati della demenza: al tentativo di rievocazione per rispondere a una domanda, mancando non solo un semplice dato di senso, come una persona, un oggetto o un luogo, ma l’intero argomento su cui verte la domanda, ossia tutto il contesto di senso memorizzato, la persona tende automaticamente, sia pur coscientemente, a “costruire una storia” plausibile. Questo sintomo compare anche in molti disturbi psichiatrici di altra origine. In tutti questi casi il funzionamento della mente sincronica è in parte invalidato da un deficit, ma nella mente sana la tendenza a trovare una spiegazione non può ripiegare sull’invenzione, come nel gioco dei bambini o in quello degli adulti, ossia la creazione artistica di trame narrative, perché l’esigenza della mente adulta sana è quella di sapere circa la realtà.

Il modo di usare l’intelligenza che fa riferimento a un paradigma stabile, come possono essere i dati materiali empirici certi o il vero matematico, consente le migliori prestazioni logiche. Infatti, lo strumento logico più potente creato dalla mente umana è la matematica, perché si basa rigorosamente su riferimenti certi ed evidenti, come nel vero di aritmetica, geometria e analisi, e i binari che crea all’esercizio dell’ideazione impediscono che il procedere cada nella perdita di senso. [BM&L-Italia, dicembre 2024].

 

Notule

BM&L-07 dicembre 2024

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Una nozione non a tutti nota è che l’espressione latina forma mentis, diventata poi sinonimo di “mentalità”, in origine aveva una connotazione negativa, designando un tipo di mentalità ristretta o cognitivamente limitata come quella delle persone rozze, incolte e rigide perché non aduse all’esercizio della logica secondo buon senso e a valutazioni adattative. Non meraviglia che si usasse spesso riferendosi a persone barbare.

[2] Giorgio Raimondo Cardona, Storia Universale della Scrittura, pp. 190-191, Ed. CDE su lic. Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1986.

[3] L’espressione forma mentis aveva in origine una connotazione negativa e indicava proprio una mentalità ristretta, rozza o deficitaria.